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La Banda a Vapore al tempo del coronavirus:

Legata ad uno scoglio

 

(progetto quarantena)

La Banda a Vapore al tempo del coronavirus:

Che notte quella notte! 

 

(progetto quarantena)

le    curiosita'

Si dice che un giorno Alberto Rossi abbia telefonato al suo amico Roberto Boccardo in preda al panico perché si era appena scoperto a dare risposte sensate ad uno sconosciuto che gli chiedeva informazioni stradali.
“Roberto, aiuto, sto invecchiando, la maturità incombe, ho già i primi sintomi, devo fare qualcosa per evitarla e devo fare presto prima che mi trasformi in una persona definitivamente equilibrata!”
“Bhè – rispose Roberto – non ci vedo niente di male, hai quasi 40 anni, sei sposato e sei padre di due figli”.
Ma non capisci, è terribile invece!” - si mise a piagnucolare Alberto - “devi aiutarmi a fare qualcosa per resistere attivamente contro la maturità! …Sono pur sempre un musicista!”
“Mah, allora perché non facciamo un gruppo musicale?– rispose paziente Roberto Boccardo – ci potremmo inventare un palcoscenico per per cazzeggiare in pubblico, che ne dici di metter su un bel repertorio di canzoni italiane in odore di swing con una sezione di fiati: tromba trombone e sax?”
“Scusa, perché con la tromba e il trombone?”
“Perché ho conosciuto al lavoro un certo Gino La Montagna che suona la tromba e poi ho un altro mio amico suona il trombone”
“Conosci nessuno che suona la cornamusa?”
“No”
Fu per questo motivo che il gruppo non fece mai musica celtica. L’assenza della xilomarimba escluse il repertorio afro-cubano.
Mi son sempre chiesto: che sarebbe successo se Gino invece della tromba avesse suonato l’arpa...

LA PRIMA CANZONE provata ed arrangiata da LA BANDA A VAPORE è stata IL GARIBALDI INNAMORATO (Caputo 1987), sulla base di una scelta assolutamente opportunistica, dettata dal fatto che era già parte del repertorio del Progetto Obliquo, la formazione da cui originavano ben 3 elementi della banda.
Dunque, fu semplicemente ritenuto vantaggioso, per l’economia della nuova band, iniziare con materiale già conosciuto e sperimentato da buona parte dei musicisti.
Questa storica prima prova si tenne un sabato di fine novembre del 2002 con una temperatura polare nel garage ghiacciato di Roberto Boccardo, causò un inutile spargimento di raffreddori e bronchiti ed è ricordata ancora come un incubo da tutti i sopravvissuti.


 

IL PROGETTO OBLIQUO è la formazione musicale da cui provengono tre elementi della originaria BANDA A VAPORE, cioè il bassista Roberto Boccardo (in alto al centro), il chitarrista Claudio Bechi (in basso al centro)e il saxofonista Alberto Rossi (in basso a destra). 
Il Progetto Obliquo fu attivo dal 1995 al 2002, e si caratterizzò come uno dei più vivaci momenti culturali pistoiesi, con le sue rivisitazioni, in memorabili concerti (tra i quali i Percorsi Acustici del settembre 1998 nel centro museale Marino Marini), del repertorio di molti mostri sacri della musica italiana, proponendo contemporaneamente lavori musicali di propria produzione artistica, basati su spunti del cantautore pistoiese Masi (a destra) e in parte dello stesso Rossi.

 Il brano viene composto quasi per caso. Dice Caputo: "Venivo da un tour di grandissimo successo, di cui avevamo registrato una serata sola (quella di Milano, per risparmiare sul camion e sulla equipe tecnica). Le registrazioni erano inaspettatamente buone (inaspettatamente, perché un live normalmente si costruisce registrando almeno una decina di spettacoli, e poi scegliendo il meglio)... Così la casa discografica si ritrovava in mano un album di qualità che costava pochissimo, praticamente quanto un giorno di studio più il mix.
Il problema era che farne, e c'era il festival in fase di organizzazione. Ma il festival vuole pezzi nuovi, e così scrissi il testo (inizialmente lunghissimo: ho dovuto fare amputazioni dolorose per stare nei tempi di una canzone) per questo brano di cui avevo scritto la musica precedentemente, e lo abbiamo presentato a Sanremo, e poi aggiunto a quelli pronti per il disco dal vivo ("Ne approfitto per fare un po' di musica"). 
Perché Garibaldi? La musica era decisamente latina, e quindi per il testo mi serviva una storia italiana che fosse anche fortemente latina. Pensaci e pensaci e pensaci, bum! Garibaldi. Ma non il Garibaldi dei libri di storia o dei monumenti: Garibaldi l'avventuriero, il pirata, il donnaiolo. Il Garibaldi che si fermò in Sudamerica a fare una rivoluzione per amore... ".
Nel 1998 Caputo ha rivisitato 'Il Garibaldi innamorato' in "Serenadas", disco nel quale ha raccolto i suoi brani di ispirazione latina, intervenendo per "correggere" quelle che lui stesso definisce "sgrammaticature stilistiche e di sound caratteristiche delle versioni originali". Tra l'altro, come fa notare il cantante, "ci si può divertire a confrontare la nuova versione del 'Garibaldi' con un paio di brani di 'Supernatural' di Santana, uscito un anno dopo…".


 

 Il Folkstudio è la nota cantina romana di via Garibaldi dove tra gli altri si esibiscono Antonello Venditti, Ernesto Bassignano, Mario Schiano, Giovanna Marini, Mimmo Locasciulli, Edoardo De Angelis, Archie Sawage, Riccardo Cocciante, Giorgio Lo Cascio. FABRIZIO DE ANDRÈ si recò nel 1974 al Folkstudio e chiese a Luigi Grechi di fargli ascoltare i brani di FRANCESCO DE GREGORI. Ha origine così l'amicizia con FABRIZIO DE ANDRÈ e, di conseguenza, la collaborazione con il cantautore genovese (la parentesi “sarda” di De Gregori) che lo porta alla realizzazione del disco "Volume ottavo", dove troviamo la sua firma in "La cattiva strada", "Dolce luna", "Le storie di ieri ", "Oceano" e "Canzone per l'estate", interpretate poi da De Andrè.  Nel 1975 poi viene pubblicato Rimmel, che contiene Pablo (storia di un emigrato spagnolo attribuita a numerosi esuli politici e addirittura a Neruda con l'arrangiamento di LUCIO DALLA;), Buonanotte fiorellino ispirata dal brano Winterlude di Dylan e la canzone d'amore Pezzi di vetro.Altra canzone dell'album è Quattro cani (alias FRANCESCO DE GREGORI, ANTONELLO VENDITTI, LILLI GRECO e PATTY PRAVO). Il 1982 è l'anno del fantastico TITANIC, dedicato alla tragedia del famoso transatlantico della Star Line ("Titanic", "I muscoli del capitano", "L'abbigliamento di un fuochista") e del suo comandante Smith, spesso citato da De Gregori durante i suoi concerti.

Le prime venature di jazz che appaiono nell'album 'No smoking', a partire dal singolo 'L'astronave che arriva', portano a recensioni come quella di Gino Castaldo su 'La Repubblica': "Caputo stenta a trovare la felice intuizione dell'esordio, ovvero quel 'Sabato italiano' che, con rapido passaparola, divenne un divertente slogan delle notti romane e milanesi".
Tuttavia, il critico si avvede dei primi segnali di maturazione artistica di Caputo: "La strada imboccata non è delle più facili, se è vero che è più facile fingersi poeti narrando di amori strappalacrime e dubbi esistenziali, piuttosto che scegliere l'ironia, il calembour intelligente. Uno dei pregi di questo nuovo disco di Caputo è quello di essere andato molto avanti nella fantasia della scrittura, perfezionando la tendenza ad introdurre nella canzone un vocabolario ricco e insolito".
In effetti il brano sembra voler indicare, con ironia e leggerezza, alcune delle inquietudini che si annidano sotto la "voglia di superficialità" degli anni '80. Come dice l'autore, "L'astronave è un brano che parla della Grande Utopia, bella in astratto, ben più complicata da realizzare. E nell'attesa che la Grande Utopia si realizzi da sola, viviamo vite confinate nel quotidiano, accontentandoci di sogni a volte ermetici (vedi la citazione di Montale) a volte più romantici - 'Verrò con te, dovessi farlo di mestiere' - nella convinzione che spesso l'amore è la sola certezza alla quale aggrapparci... Fino al giorno in cui, distratti dal 'festeggiare eroi leggeri' ci rendiamo conto che l'astronave (cioè l'utopia di un mondo migliore, diverso) è già passata e ci dobbiamo accontentare di emozioni più omologate".
Con l'andare del tempo il brano ha ottenuto giustizia, diventando un piccolo classico - oltre che il brano più noto di Caputo in Europa, grazie al prolungato utilizzo nello spot pubblicitario di una nota marca di caffè italiano.

Alberto Rossi e Filippo brilli suonano davvero di tutto ! Li vediamo qui all'opera durante alcune ricerche etnomusicali con una coppia di trombe rituali tibetane molto rare e custodite al Museo di Antropologia di Firenze.
Particolare da non trascurare: le trombe sono costruite con autentici femori umani !

Il Garibaldi Innamorato fu il brano scelto da Sergio Caputo per il suo debutto a Sanremo nel 1987.
Più tardi Caputo ricordò quell’esperienza descrivendo ansie ed emozioni del palcoscenico dell’Ariston, dicendo tra l’altro: “Era la mia prima volta a Sanremo, ma non ero preoccupato dal debutto: avevo un quintale di esperienza televisiva in generale e di manifestazioni simili, dal Disco per l'Estate in poi... La cosa che mi stupì di Sanremo fu il clamore sproporzionato, i giornalisti e le radio e TV private e pubbliche appostate fuori della tua camera, pronti a beccarti quando esci la mattina mezzo rincoglionito... La macchina promozionale totalmente fuori controllo, potevi trovarti a rilasciare interviste a perfetti sconosciuti, non accreditati, ma senza osare rifiutarti perché non si sa mai...Gente che ti tira da una parte e dall'altra, un casino bestiale, per poi trovarti sul palco, la sera, in diretta, a fare l'unica cosa che conta ridotto come uno straccio...
E poi la paura. Il palco dell'Ariston mette paura, non chiedetemi perché ...E l'impatto di popolarità mostruoso: col cappello e il bavero alzato, venire riconosciuto da tutti in un autogrill, alle 2 di notte, rientrando a Milano alla fine del festival... " fin qui il cantante.
Ma noi ricordiamo anche altro. Ad esempio che quell’anno 1987 il Festival della Canzone Italiana vedeva favorito il Trio Morandi-Ruggeri-Tozzi, ma in generale dominava lo stile melodico-nazionalpopolare che si suol definire "sanremese". Tra i più accreditati rivali degli interpreti di 'Si può dare di più' ci sono infatti Toto Cutugno (che arriverà secondo con 'Figli'), Albano & Romina (terzi con 'Nostalgia canaglia'), nonché Ricchi & Poveri e Christian.
In un certo grigiore, brillano pochissime perle: 'Io amo' di Fausto Leali, 'Quello che le donne non dicono' di Fiorella Mannoia e 'Il Garibaldi innamorato'. Questo è l'unico brano che dà una scarica di adrenalina a un Festival che non a caso era andato a cercare emozioni all'estero (impressionante il cast internazionale: Bryan Ferry, Europe, Paul Simon, Simply Red, Spandau Ballet, Duran Duran, Smiths, Tina Turner, Frankie Goes to Hollywood, Style Council, Rod Stewart, Whitney Houston e tanti altri).
Tuttavia il ritmo afrocubano e il testo (al tempo stesso irriverente e affettuoso nei confronti del condottiero all'epoca "conteso" tra Craxi e Spadolini) mettono in evidenza una volta di più la vitalità della musica di Caputo rispetto al panorama italiano dell'epoca. Tra l'altro l'arrangiamento anticipa di un decennio la ormai quasi stucchevole moda del sound latino cui molti, da Paola & Chiara agli Articolo 31, hanno fatto ricorso negli ultimi anni nel tentativo di agguantare un successo estivo.
Per Caputo invece si tratta di una scelta coerente con la propria impostazione jazzistica: "Il latino è una branca del jazz, non un tipo di musica diverso", sostiene il musicista romano; "tutti i maestri del latino, ad esempio Tito Puente, si sono sempre considerati jazzisti. Nel 1965 fu Dizzy Gillespie che, di ritorno da Cuba, portò con sé il famosissimo percussionista Machito, intorno al quale costruì una band che regalò al jazz pagine memorabili, completando in questo modo una contaminazione reciproca che era in corso da tempo".

ENZO JANNACCI è il punto di contatto con un intero firmamento di artisti italiani noti e meno noti. È in questa chiave di volta che si inserisce l’attenzione da sempre dedicatagli dalla ricerca musicale de LA BANDA A VAPORE.

Alcuni esempi, tratti dalla sua biografia:

…Il giovane JANNACCI si accosta al jazz e comincia a suonare in alcuni locali milanesi, ma contemporaneamente scopre anche il rock'n'roll, e dal 1956 diventa il tastierista dei "Rocky Mountains", che si esibiscono alla "Taverna Mexico", all' "Aretusa" ed al "Santa Tecla", il tempio del rock'n'roll milanese; alla voce c'e' TONY DALLARA, e quando quest'ultimo abbandona il gruppo per intraprendere la carriera solista, entra come voce e chitarra GIORGIO GABER. Il gruppo effettua molte serate accompagnando ADRIANO CELENTANO, che sta muovendo i primi passi nel mondo musicale e che Jannacci ha già conosciuto al Santa Tecla.

…Con GIORGIO GABER lega in modo particolare, ed i due decidono di formare un duo, "I due corsari", debuttando alla fine del 1958 con due flexy-disc, "Come facette mammata "(un classico della canzone umoristica napoletana) e "Non occupatemi il telefono", e proseguendo l'attività l'anno successivo con altri 45 giri, incisi per la Dischi Ricordi.

…Jannacci e LUIGI TENCO si sono conosciuti quando Jannacci suonava nei Cavalieri, il gruppo che suonava nei primi 45 giri incisi da Tenco con lo pseudonimo di Gigi May.

Nello stesso periodo GIORGIO GABER partecipa al festival di Sanremo con una canzone, "Benzina e cerini", scritta da Jannacci (che non l'ha mai incisa).

…Come jazzista suona con musicisti dello spessore di STAN GETZ, GERRY MULLIGAN, CHET BACKER E FRANCO CERRI, con i quali registra numerosi dischi di jazz. Pochi conoscono la sua amicizia con BUD POWELL che gli insegna a lavorare sulla tastiera prevalentemente con la mano sinistra.

…Nel 1963 effettua una tournée come pianista di SERGIO ENDRIGO; sempre nello stesso anno inizia ad esibirsi al "Derby", locale milanese di cabaret, dove conosce DARIO FO (e l'anno successivo COCHI E RENATO) con cui inizia una collaborazione. Dello stesso periodo sono altri 45 giri come "Veronica" (con testo di FO e del radiocronista sportivo SANDRO CIOTTI, amico di Jannacci) e soprattutto "Sfiorisci bel fiore", che diventerà uno dei brani simbolo del cantautore milanese, reinterpretato da personaggi del calibro di MINA, Gigliola CINQUETTI, PIER ANGELO BERTOLI E FRANCESCO DE GREGORI.

…Nel 1970 il brano "Mexico e nuvole", scritto da un ancora sconosciuto PAOLO CONTE, riscuote un buon successo. Con il compianto radiocronista ed amico BEPPE VIOLA scrive lo spettacolo "La tapezzeria" (presentato insieme ad un duo, "I Repellenti", formato da due giovani sconosciuti, Giorgio Porcaro e DIEGO ABATANTUONO) ed il libro "L'Incompiuter".

…Agli inizi del 1994 risale "I soliti accordi", arrangiato da Giorgio Cocilovo con la collaborazione di Paolo Jannacci: con l'omonimo brano si presenta nuovamente al Festival di Sanremo in coppia con PAOLO ROSSI.

Le canzoni di Conte sono sornionamente equivoche, dotate di testi strepitosi che a volte ingannano l’ascolto e possono far pensare a poesie che abbiano cercato melodie su cui appoggiarsi. Tutt’altro: la partenza è sempre “un’intuizione musicale”. Conte è un po’ come Mozart per la classica o Gauguin per la pittura, artisti nel cui mondo è facile entrare, sembrano lì a portata di mano, all’apparenza «elementari», e invece ogni volta si coglie una sfumatura in più e ci si accorge della complessa ricchezza, può risultare prezioso per gli appassionati del cantautore Paolo Conte.  «Non mi piacciono quelli che si raccontano, l’autobiografismo non è cosa mia. Preferisco chiamare in causa un personaggio, una generazione. Fin da ragazzo ho messo sotto osservazione l’uomo del dopoguerra, perché faceva teatro, era uno che si dibatteva, che cercava di rivivere...». E che ai piedi portava un paio di scarpe sfoderate, comode, informali...  «L’invenzione del mocassino è una delle cose più sensazionali. Allora erano gli stivali delle sette leghe. È stato il massimo della goduria. Col mocassino si poteva andare dove volevi, ti faceva sognare, ti faceva venire voglia di scappare. Anche solo con la fantasia».  Siamo in piena mistica della «calzatura libera». E Conte va: «Dopo un po’, questo personaggio mi è rimasto come garanzia di prototipo di quello che siamo al di là dei cambiamenti e di certe mode. L’italiano tipico è un po’ quello lì, simpatico, anche un po’ eroe perdente». Uno che dice alla sua donna «entra e fatti un bagno caldo, c’è un accappatoio azzurro, fuori piove un mondo freddo» (Via con me);

CAPUTO non può che essere un punto di riferimento per una band che ha nelle proprie intenzioni quella di cogliere quel brivido swing che attraversò educatamente la ballata e la canzone d’autore italiana dagli anni '50 ai tempi nostri.  Nel repertorio de LA BANDA A VAPORE sono stati inseriti brani come: VADO ALLE HAWAII (1984 DA ITALIANI MAMBO), IL GARIBALDI INNAMORATO, L’ASTRONAVE CHE ARRIVA.  La stessa allegria compagnona di una jazz band in gita di piacere si respira invece in VADO ALLE HAWAII dove è presente un gustoso intermezzo strumentale, per chi pianifica una fuga dal mondo dell’ovvio e del normale: “Vado alle Hawaii stramilano good-bye fammi un fischio e vengo via a zonzo con gli indigeni e i piedi sempre a bagnomaria”. Difficile resistere anche alla celeberrima IL GARIBALDI INNAMORATO in un esilarante gioco di rime su ritmiche latine perché “il Garibaldi è ricercato in tutti i mari del sud, ma non si può tagliar la barba per questioni di look...”. Ma è L’ASTRONAVE CHE ARRIVA il suo capolavoro assoluto, per la malinconica architettura jazz con un testo solo apparentemente ironico ma estremamente profondo nel contenuto, recitando di una “astronave che arriva vira e ammira il panorama che c'è laggiù, saluta un arcobaleno su nel cielo, poi fugge in direzione Malibu e tutto il genere umano un palmo di naso tutti a chiedersi dove va? Bon voyage!”. Da ascoltare più volte per assaporarne il messaggio.attraversò educatamente la ballata e la canzone d’autore italiana dagli anni '50 ai tempi nostri.

“Il mio primo disco è stato un mini-album, si chiamava Sergio Caputo, era piuttosto rock e piuttosto immaturo, del resto in quel periodo a tutto pensavo fuorché a fare il musicista professionista.
Il primo vero album, Un sabato italiano, che fu erroneamente preso come un’esaltazione della dolce vita anni ‘50 mentre i riferimenti erano a personaggi precisi ed attuali, a localacci dove si suona rock; forse ha ingannato lo stile musicale.
Un altro caso di pezzo frainteso fu quello che dava il titolo all'album successivo, ITALIANI MAMBO: preso come una frivolezza, voleva invece essere un attacco durissimo alla cultura italiana di quel periodo, mi lamentavo di un certo immobilismo, del restare seduti in attesa dell'evento”.

Gino Paoli è un crocevia della musica italiana, anzi, uno dei suoi motori. La sua biografia lo interseca con una miriade di personaggi che hanno costruito la canzone italiana.  Lui debutta come cantante da balera, per poi formare un band musicale con gli amici Luigi Tenco e Bruno Lauzi (tanto per fare due nomi). Nel 1960 realizza "La gatta", un pezzo rigorosamente autobiografico: parlava della soffitta sul mare dove Gino viveva. Il disco vendette 119 copie, poi scomparve e infine tornò tramutandosi, inaspettatamente, in un successo da 100 mila copie la settimana.  Le sue canzoni sono cantate da Mina e da Ornella Vanoni mentre intanto Paoli scopre e lancia altri artisti: Lucio Dalla, clarinettista jazz, del quale produce il primo disco, o il refrattario Fabrizio De Andrè "costretto" con la forza a cantare con lui al Circolo della Stampa di Genova.  Capita anche che gli interpreti più disparati si "impadroniscano" del canzoniere paoliano: mostri sacri degli anni 50 come Claudio Villa, Carla Boni, Jula De Palma, Joe Sentieri, cantanti lirici come Anna Moffo, attrici come Lea Massari e Catherine Spaak, protagonisti degli anni '60 quali Umberto Bindi, Gianni Morandi.  Più avanti la musica di Gino Paoli coinvolgerà altri famosi cantanti tra i quali Patty Pravo e Franco Battiato.  Importante, negli anni '80, la collaborazione con Zucchero, giovane ancora agli esordi, che contribuirà al suo successo.  Ma il nome che proprio non ti aspetti è quello di Ennio Morricone, arrangiatore per Gino Paoli di brani come "Che Cosa C’è" e "Sapore di sale", arrangiata da Morricone, proprio lui, con gli interventi al sax di Gato Barbieri.  La versione eseguita dalla Banda a Vapore è però prevalentemente quella ska di Giuliano Palma, tanto per fare un altro nome che proprio non ti aspetti…

Please reload

Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci tra il 1959 ed il 1960 sono I DUE CORSARI. Un album del 1972 raccoglie tutti i 45 giri pubblicati in coppia dai due cantautori milanesi per la Ricordi. Il disco, che uscì con l'etichetta sussidiaria Family, passò quasi inosservato ed è ora considerato una rarità discografica. Infatti, passarono molti anni prima che alcune di queste canzoni, come Una fetta di limone e Birra, acquistassero notorietà. VENGO ANCH’IO (1967), che nasce dalla collaborazione di Enzo Jannacci con il premio Nobel Dario Fo, non fu certo un caso isolato. La loro feconda collaborazione ha generato veri e propri capolavori negli ormai lontani anni ’60. Dalla collaborazione con Dario Fo nasce infatti nel 1965 "22 canzoni", un recital storico che riscuote un grande successo (Il Teatro Odeon di Milano registra quasi un mese di tutto esaurito), da cui viene tratto anche un disco dal vivo, uno dei primi in Italia ("Enzo Jannacci in teatro"), che contiene brani scritti appositamente come "Prete Liprando e il giudizio di Dio", cover come "Qualcosa da aspettare" (bella canzone di Fausto Amodei) e brani già usciti su 45 giri come "Niente", "Veronica", "La forza dell'amore", "L'Armando" e "Sfiorisci bel fiore" (che dal vivo ha la seconda strofa con un testo leggermente diverso).  Jannacci recupera anche nello spettacolo e nel disco alcune canzoni già interpretate da Dario Fo anni prima, come "Aveva un taxi nero" (dallo spettacolo "I sani da legare", del 1954) e "Il foruncolo" (Fo l'aveva presentata a "Canzonissima" del 1962, incidendola in un 45 giri per la Ricordi, con il numero di catalogo SRL 10-305).

Il successo di massa vero e proprio per Enzo Jannacci viene nel 1968, con una canzone-tormentone, "VENGO ANCH'IO. NO TU NO", scritta in collaborazione con Dario Fo e Fiorenzo Fiorentini, che arriverà addirittura al primo posto dell'hit-parade dei 45 giri di Lelio Luttazzi, e che resterà negli anni a venire sicuramente la sua canzone più nota. Esilarante risulta l’uso degli ottoni, motivo della attenzione a questo brano da sempre riservata da LA BANDA A VAPORE.  Anche l'album omonimo VENGO ANCH’IO riscuote un discreto successo, trainato dal brano "HO VISTO UN RE". A "Canzonissima" del 1969 Jannacci presenta la canzone "Gli zingari", brano struggente e delicato, distante anni luce dalla spensieratezza di "Vengo anch'io. No, tu no": ed infatti la canzone non viene capita ed apprezzata dal pubblico. In realtà era "Ho visto un re" la canzone che doveva essere presentata a Canzonissima, ma un intervento della censura impedisce a Jannacci di cantare questa canzone, per via del tono giudicato eccessivamente polemico

Racconta Carosone della sua collaborazione con Nicola Salerno in arte NISA. "L’allora direttore della RICORDI il dott. Rapetti, (padre di MOGOL) ci commissionò dei pezzi per partecipare ad una gara radiofonica e tra i testi che NISA tirò fuori dalla sua tasca c’era appunto, Tu vuò fa l’americano, che mi colpì subito. Mi sedetti al pianoforte, misi il testo sul leggio, e cominciai a suonare con la mano sinistra, mentre Nisa e Rapetti aspettavano che succedesse qualcosa.  La canzone nacque in un quarto d’ora, di getto, una vera bomba, eravamo tutti come impazziti. Capimmo immediatamente che sarebbe stato un grandissimo successo. Le idee di Nisa le davo quasi sempre io, non perché lui non ne avesse, ma perché aveva bisogno di essere stimolato.  Nicò, dobbiamo fare una canzone sul petrolio, e lui rispose: “Ma come si può fare? Che schifo! Io che ho fatto sempre canzoni su belle femmine”.  Io insisto Nicò, facimmo ‘a storia ‘e ‘nu napulitano che diventa pazzo e va cercando ‘u petrolio a Napule.  Nisa divertito comincia così: “m’aggio affittato ‘nu cammello, m’aggio accattato ‘nu turbante..” ‘A Rinascente aggiungo io.  L’intesa tra noi è a dir poco straordinaria, ci divertiamo un mondo. Ma quando scrisse “Comme si bello ‘ncoppa a stu camello” ed io per la metrica musicale, dissi che era meglio “a cavallo a stu camello”, mi disse “Renà, o iamme a cavallo o iamme a camello, ti devi decidere!”.

Una piccola curiosità: tra le canzoni presentate nello spettacolo "22 Canzoni" da Jannacci ce n'è una, "La mia morosa la va alla fonte", con testo e musica di Dario Fo ed Enzo Jannacci, basata su una musica del XV secolo (sarà incisa da Jannacci solo nel 1968, nell'album "Vengo anch'io. No, tu no"). Tra il pubblico che li ascolta a Genova c'è un giovanissimo Fabrizio De André, che utilizzerà quella musica per uno dei suoi testi più famosi, "Via del Campo".

Che canzone! La incidemmo al Teatro Gobetti di via Verdi", ricorda Dino Arrigotti degli "Asternovas". "Si trattava di registrazioni effettuate in prima battuta, senza alcuna prova e soprattutto prive degli accorgimenti tecnici pur primordiali dell'epoca che consentivano di modulare le voci o di amplificare o di ridurre i suoni di certi strumenti.  Quando Pino, il nostro tecnico di fiducia, ci faceva segno che risaltava troppo la tromba, Pachito non poteva far altro che accostare il suo strumento al muro per contenere il rimbombo. E se quello sgradito fenomeno acustico riguardava il pianoforte, l'unica arma che avevo era di buttarci sopra una coperta. E se poi non c'era la coperta, ci arrangiavamo con i cappotti", conclude il pianista. Il testo era ispirato a una notizia di cronaca nera - una moglie gelosa che aveva sparato al marito scoperto con l'amante. Chiosso e Buscaglione l'avevano scritta seguendo il loro sistema abituale: abitavano a poca distanza l'uno dall'altro, in via Bava; i due balconi si fronteggiavano, e questo consentiva loro di consultarsi in ogni momento sulla composizione delle canzoni. I vicini di casa spesso li sentivano discutere dopo l'una di notte, in pigiama, appoggiati alle rispettive ringhiere - Chiosso ricorda distintamente la protesta di un condomino: "Allora, vi decidete o no a farla sparare questa benedetta Teresa?"  Il tocco di genio del paroliere fu quello di far partire il brano con un Fred in versione "strillone", che annunciava la notizia sulla prima pagina di tutti i giornali, quasi a rimarcare l'enormità di una simile notizia nella realtà provinciale dell'Italia anni '50: una casalinga italiana (dal quintessenziale, rassicurante nome di Teresa) che invece di subire l'infedeltà del marito lo affronta fucile alla mano come si immaginava facessero le emancipate americane.  Ha spiegato Chiosso: "Leggendo i romanzi di Damon Runyon mi era venuta l'idea di creare il primo tipo di maschio frignone, la prima esposizione femminista di un personaggio maschile all'interno della storia della musica italiana. Mi ispirai in particolare al racconto di un duro che, portandosi dietro gli amici, di notte va a rompere le scatole a tutti. Fracassa vetrine, vive di violenza una serata intera… Poi dice: 'Ragazzi, andiamo su, svegliamo la dolce pupa Dolly e facciamoci fare un quintale di uova al bacon perché ho appetito'. Salgono le scale, ma la dolce pupa li butta giù tutti! Così nacque il falso duro, in fondo buono, che si fa abbindolare da quella piccola così…".

L'amicizia di De Andrè con Luigi Tenco nasce in una balera di Genova.
Tenco gli si avvicina dicendo: "Sei tu che vai in giro a dire che 'Quando' l'hai scritta tu?". "Si', l'avevo detto in giro per prender della figa", la replica di De Andrè. Tenco si mette a ridere.

La notte del suicidio di Tenco a Sanremo, De Andrè rimarrà insonne davanti un foglio di carta, scrivendo la struggente "Preghiera in Gennaio" per l'amico scomparso (un tema, quello del suicidio "eroico", gia' caro al Cohen di "Who By Fire" e che ricorrerà spesso nel canzoniere di De Andrè).

La "Canzone dell'amore perduto" è interpretata con tono fatalista su una musica del compositore tedesco Georg Philipp Telemann: il tema del concerto per tromba e orchestra in Re maggiore. La ballata medievale di "Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers" (scritta con Paolo Villaggio) è degna dei monologhi "storici" più oltraggiosi del teatro di Dario Fo. E poi ancora "Via del campo" e "Bocca di rosa", filastrocche incantate in cui la prostituzione viene ancora una volta redenta in chiave mitica.  A colpire è anche l'interpretazione di De Andrè, che - sul modello di Cohen- indulge sulle tonalità più basse, grazie alla sua voce profonda e baritonale, aggiungendo un tocco di drammaticità.  Con questi brani, De Andrè demolisce, ad uno ad uno, tutti i clichè della canzone tradizionale coronando, in Italia, un'operazione paragonabile a quella compiuta da Dylan negli Stati Uniti.  "Se non avessi mai conosciuto le canzoni di Fabrizio, non avrei mai cominciato a scrivere le mie", ha detto, per esempio, Francesco De Gregori e anche Franco Battiato si è detto debitore delle ballate di De Andrè, tanto che nel suo album "Fleurs" ha voluto incidere due cover ("La canzone dell'amore perduto" e "Amore che vieni, amore che vai") tratte dal primo repertorio dell'artista ligure.  Quelle di De Andrè sono storie ironiche e senza tempo, con personaggi che sembrano quasi schizzare fuori dai versi, con la loro carica di umanità, inquietudine, disperazione.

DON RAFFAE' è tratto dall’album LE NUVOLE del 1990, dove compare la graffiante metafora della "Domenica delle Salme" e la beffarda ballata di "Don Raffae'", appunto, in cui il protagonista, boss detenuto nella cella-reggia di Poggioreale (personaggio che corrisponde a Raffaele Cutolo, boss della Nuova Camorra Organizzata), è assistito da un secondino-maggiordomo che è al servizio della mala non per disonestà, ma per la latitanza dello Stato, che si è inghiottito i suoi "quaranta concorsi, seicento domande e novanta ricorsi". La storia è così divertente che la BANDA A VAPORE ci si è buttata subito sopra traendone una entusiastica ed originalissima versione con ottoni, grancasse, zufoli ed ocarine.

UN GIUDICE è tratto da una poesia di Edgar Lee Masters, avvocato di Chicago, nato in Kansas nel 1869, che nel 1915 pubblica l'antologia di Spoon River dove viene proposto un folgorante ritratto della profonda provincia americana sospesa fra Otto e Novecento. Il successo fu così grande, in patria come in Europa, che si pensava che ogni americano, a meno che non fosse analfabeta, l'avesse letta. L' "Antologia di Spoon River" è di per sé una raccolta di epitaffi, ossia di iscrizioni tombali. In ogni poesia i morti parlano di sé, dipingono con tocchi fugaci il senso ultimo della loro vita: Masters ci fa entrare nel cuore di ognuno attraverso i suoi rimpianti, e le sofferenze; e scopriamo un modo nuovo di guardare alle cose e alle persone. Una delle tombe è il giudice SELAH LIVELY, a cui si è ispirato De Andrè per la sua canzone. Ecco il suo epitaffio

JUDGE SELAH LIVELY
Suppose you stood just five feet two
And had worked your way as a grocery clerk
Studying law by candle light
Until you became an attorney at law?
And then suppose through your diligence,
And regular church attendance,
You became attorney for Thomas Rhodes,
Collecting notes and mortgages,
And representing all the widows
In the Probate Court? And through it all
They jeered at your size, and laughed at your clothes
And your polished boots? And then suppose
You became the County Judge?
And Jefferson Howard and Kinsey Keene,
And Harmon Whitney, and all the giants
Who had sneered at you, were forced to stand
Before the bar and say "Your Honor" -
Well, don't you think it was natural
That I made it hard for them?


 

(TRADUZIONE)
IL GIUDICE SELAH LIVELY
Immagina di essere alto un metro e cinquantotto
e di avere iniziato a lavorare come garzone in una drogheria
studiando legge a lume di candela
finchè non sei diventato avvocato.
E poi immagina che, grazie alla tua diligenza
e alla frequentazione regolare della chiesa,
tu sia diventato il legale di Thomas Rhodes,
che collezionava cambiali e ipoteche,
e rappresentava tutte le vedove
davanti alla Corte. E che in tutto questo
ti canzonassero per la tua statura e ridessero dei tuoi vestiti
e dei tuoi stivali lucidi. E poi immagina
di essere diventato Giudice di Contea.
E che Jefferson Howard e Kinsey Keene,
e Harmon Whitney, e tutti i giganti
che ti avevano schernito, fossero obbligati a stare in piedi
davanti al banco e a dire "Vostro Onore"
Beh, non pensi che sarebbe naturale
che io rendessi loro la vita difficile?

 

La cosa più incredibile di Bocca di Rosa, celebre pezzo conosciuto anche da chi non è legato agli anni e al mondo poetico di De André, è che pare la storia sia vera, ricavata da un episodio di cronaca, sia pure non tale da interessare i grandi mezzi d’informazione, avvenuto nell’Italia bacchettona dei primi anni del secondo dopoguerra. La vicenda di Bocca di Rosa, e degli ambienti di provincia in cui si trova all’improvviso a “operare” recandovi gioia e scompiglio, è alla base di una delle più belle e riuscite canzoni del primissimo De Andrè. Il cantautore genovese vi dipinge un intero, incantevole affresco provinciale, descrizione impietosa e sarcastica delle mille ipocrisie, dei mille moralismi, delle mille falsità ideologiche che accompagnano in un paesino dell’Italia del Nord l’arrivo di una ragazza sconsideratamente libera che fa l’amore con tutti, non “per noia” né “per scelta di professione”, ma per pura, semplice, in qualche modo innocente “passione”: un programma di vita molto chiaro e segretamente assai apprezzato da tutti gli uomini del paese, persino dalle “autorità”, dal carabiniere costretto a darle il foglio di via obbligatorio alla fine della storia, sino (si mormora) allo stesso prete. Ma le beghine, le zitelle, le mogli dei benpensanti non perdonano e Bocca di Rosa – missionaria dell’amor profano – sarà costretta a un’emigrazione forzata: un altro paesino, altre avventure e altre ipocrisie la attendono a pochi chilometri di distanza. Questa deliziosa ballata acustica costruita comicamente su un ritmo di quieta e insinuante tarantella, uscì – manco a dirlo – nel 1968, anno di rivolte e di sberleffi alla “pubblica morale” da parte di tanti giovani e tanti artisti impegnati, ma è stata poi ripresa mille volte dal cantautore, nel corso dei suoi concerti dal vivo, riproposta in versioni leggermente diverse e sempre molto gradita da un pubblico che non ha mai dimenticato la prima, straordinaria produzione di un musicista-poeta la cui storia artistica s’identifica con la storia stessa della migliore canzone d’autore del nostro Paese.

Bocca di Rosa è esistita davvero? Forse si chiamava Maritza. Era un'istriana bionda, piombata a Genova per togliersi la voglia di Fabrizio.

La storia è raccontata nel romanzo Un destino ridicolo, scritto a quattro mani con Alessandro Gennari e pubblicato da Einaudi.

Fabrizio era a casa, bussano alla porta: "Finalmente riesco a incontrarti", dice la bionda che ha trovato l'indirizzo su un settimanale di musica. Il resto, come si dice in Gallura, "tocca ponillo in canzone" (bisogna metterlo in musica), per quegli eventi eccezionali che è bene fissare in qualche modo per non perderne il ricordo.

Di tutto rilievo è il testo della canzone. Il livello semantico è chiarissimo, eppure non mancano figure retoriche di rilievo. Straordinaria, su tutte, è la metafora “l'ira funesta delle cagnette / a cui aveva sottratto l'osso”, dove le cagnette indicano le donne del paese e l'osso sta per i loro mariti (Inoltre osso costituisce una sineddoche atta ad evitare un'oscenità).
Divertente è l'iperbole. Quella schifosa ha già troppi clienti, / più di un consorzio alimentare.
Icastica è la similitudine iperbolica della notizia che “come una freccia dall'arco scocca / vola veloce di bocca in bocca”.

Qui la BANDA A VAPORE, nella sua re-interpretazione della canzone, si è inventata una efficacissima antitesi musicale, con le parole che si smarriscono in una sospensione ritmica, liberamente accompagnate dalla sola chitarra, quasi senza tempo, così che la freccia visualizzata dal testo (ed appena scoccata) resta come sospesa nel vuoto, ed il racconto prosegue musicalmente irreale in una sorta di assenza di gravità.

In questo spazio senza tempo sono fatti cadere i versi “e alla stazione successiva/ molta più gente di quando partiva” col risultato di passare dal rifiuto sociale alla acclamazione di popolo al di fuori dello spazio storico della narrazione (reso ovviamente come spazio sonoro), per poi tornare alla fisicità ritmica e timbrica dell’orchestra intera con le strofe finali, con l’orchestra recuperata in tutti i suoi strumenti che diviene essa stessa gente, popolo, banda di paese.

A febbraio del '61 Celentano deve partecipare al Festival di Sanremo, ma è militare: c'è bisogno di una dispensa speciale, che viene firmata dall'allora ministro della difesa, Giulio Andreotti.
Al festival Adriano ritrova il vecchio amico Little Tony, ed è in coppia con lui che presenta Ventiquattromila baci (canzone che, come Il tuo bacio è come un rock, è stata scritta da Pietro Vivarelli e Lucio Fulci su una musica di Celentano); Adriano scandalizza il pubblico voltandogli le spalle, e girandosi solo dopo il cambio di tempo dell'orchestra, ma la sua "Ventiquattromila baci" arriva seconda (vince Al di là, cantata da Luciano Tavoli e Betty Curtis), pur vendendo nelle settimane successive mezzo milione di copie.

"Ho una canzone in uscita in questi giorni. Si chiama 'Una storia d'amore'. La ritengo una delle mie cose migliori e sono convinto che sfonderà. L'ho fatta io insieme a Beretta e Del Prete.. Con 'Azzurro', l'anno scorso, ho venduto un milione e duecentomila copie. Con 'Una storia d'amore', sono portato a sperare in qualcosa di più!". (Adriano Celentano, intervista tratta da "Bolero", maggio 1969). Alla fine degli anni '60 il "molleggiato" sembra davvero aver dimenticato definitivamente il rock'n'roll degli esordi. Accentuando il suo distacco dalla musica 'giovane', iniziato con 'Tre passi avanti' (che auspica la caduta del mondo beat e la scomparsa dei “capelloni”), il grande innovatore diventa conservatore proprio nel periodo in cui sono sempre di più coloro che invocano cambiamenti nella società e nel costume. Tradizionalista (e un po' maschilista) è la sceneggiata di 'Storia d'amore', nella quale qualcuno volle vedere qualche episodio autobiografico. In effetti, il tema tornerà a galla trent'anni dopo, nella canzone 'Solo da un quarto d'ora' (2000), nella quale Celentano rifiuta la donna che gli si offre - non tanto per fedeltà alla compagna, quanto per fedeltà nei confronti dell'amico, marito della scostumata. Il successo di STORIA D'AMORE è immediato. Questo il commento di Mina: "Sono felice che la mia 'Non credere' sia entrata in hit-parade, ma non credo che sarà mai prima. Battere Celentano con 'Storia d'amore è impossibile. Che genio quel ragazzo! Che mostro di musicalità, di idee; gli voglio bene come fosse un fratello" (Mina, giugno 1969). Storia d'amore non superò il successo di 'Azzurro' come auspicato da Celentano. Tuttavia il brano si comportò davvero bene in classifica. Il 7 giugno entrò nella top ten (scavalcando proprio la sua 'Storia di Serafino', nona), piazzandosi al terzo posto. La settimana successiva andò al n.1, in una top ten che sfoggiava 'Viso d'angelo' dei Camaleonti, 'Acqua azzurra acqua chiara' di Battisti, 'Get back' dei Beatles, 'Tutta mia la città' dell'Equipe 84. A scalzarla dal primo posto, il 5 luglio, fu 'Pensando a te' di Albano, vincitrice del Disco per l'Estate. Nei mesi di luglio e agosto 'Storia d'amore' furoreggiò, ma dovette accontentarsi di una prolungata permanenza al secondo posto: impossibile togliere il primato alla canzone dell'estate: 'Lisa dagli occhi blu' di Mario Tessuto. Solo dopo quattro mesi di permanenza - l'undici ottobre 1969 - la canzone uscì dalla top ten

Alla fine degli anni '60 il "molleggiato" sembra davvero aver dimenticato definitivamente il rock'n'roll degli esordi. Accentuando il suo distacco dalla musica 'giovane', iniziato con 'Tre passi avanti' (che auspica la caduta del mondo beat e la scomparsa dei “capelloni”), il grande innovatore diventa conservatore proprio nel periodo in cui sono sempre di più coloro che invocano cambiamenti nella società e nel costume.

La versione di  “STORIA D’AMORE” che propone dal vivo la Banda a Vapore è quella degli Avion Travel.  Nel 1993 Enrico Ruggeri, affezionato ai classici della canzone italiana (basta pensare a 'Vecchio frac'), propone nel suo tour il vecchio pezzo di Celentano.  Anche gli Avion Travel rimangono affascinati dalla ardita costruzione del brano, una piccola sfida musicale, e a partire dal 1996 lo inseriscono nel loro repertorio "live".  Il loro tumultuoso arrangiamento fa la sua comparsa, due anni dopo, nell'album 'Vivo di canzoni'.  Così il critico Mario Luzzatto Fegiz recensisce il disco sul "Corriere della Sera": "Dopo 'Amore grammatico', nella quale il dramma di una storia d'amore è in qualche modo fagocitato dal rituale dell'incontro e l'enfasi del sentimento si sperde nei labirinti d'una strana burocrazia dell'etica e del sentimento, arriva una folle rilettura di 'Storia d'amore', canzone portata tanti anni fa al successo da Celentano che diventa straordinaria ….anche se nemmeno di una parola è stata modificata.  E' bastato riscrivere il contesto sonoro e le misure, per renderla omologa al repertorio degli Avion.  Si dice che un acrobata è tanto più bravo quanto più riesce a compiere esercizi difficilissimi con naturalezza” Ebbene gli Avion sono riusciti proprio in questo

Questo pezzo, "Si è spento il sole", una canzone incisa nel 1958 da un giovanissimo Celentano, fu poi brano aggiunto dell'antologia "L'indispensabile" di Vinicio Capossela, con dedica a suo padre, Vito Capossela, alla sua gran gioventù, fatta di rughe e di fotografie con cose non sue… "Ecco vedete, questo è mio padre con una macchina non sua, qui invece è con questa moto, non sua naturalmente, qui con una vespa…e qui infine con una donna, carina, no, beh, non era sua…"  Un pezzo che dedico a tutti gli italosvizzeri di prima e seconda generazione, gli italobelgi, gli italogermani…quelli che non hanno preso il transatlantico per finirla del tutto e andarsene in America…hanno preso i treni invece, a vagonate e si sono sparsi nella piena del deutch mark! L'umanità internazionale per la quale il vero linguaggio esotico è il tedesco… le giacchette appese ai pollai di tutta Europa, quelli che non ce l'hanno avuto Al Capone e Frank Sinatra, hanno avuto invece Adamo, Rocco Granata e Celentano…Ah i Celentano!  E non mi riferisco qui al noto artista, ma alla categoria dei Celentani. Negli anni ne ho incontrati a decine di mattacchioni di paese che si chiamavano, per tutti gli altri Celentano…gente fuori squadro, fuori regola, uno cantava da sdraiato, l'altro ballava male, tutti spaiati, disaccoppiati…questa è la loro canzone, la canzone di "quelli erano giorni". Vito quando eravamo piccoli, di Domenica guardava le fotografie della sua gran gioventù e canticchiava laconico..ah, quelli erano giorni… te ne accorgerai, mi diceva…verrà il giorno che ti toccherà pure a te… Beh, adesso inizia a toccarmi… e un po' anche a voi, perciò buon ascolto.  A tutti quelli ai quali si è spento il sole, ricordando che quando il sole si spegne è sempre vero anche il suo contrario, e cioè che si possono finalmente accendere le stelle. Saluti

Conte descrive il campione con poche efficaci pennellate ("quel naso triste, come una salita, quegli occhi allegri da italiano in gita...") e Bartali diventa nel testo un eroe nazionale, che incute rispetto con la sua potente pedalata. Il brano è arrangiato come un'ironica marcetta, simile ai commenti musicali dei filmati d'epoca, che rispecchia nel ritmo l'idea del fiato corto e della pedalata in salita e che dà spazio anche a invenzioni vocali ("zazzarazzaz..."). Gino Bartali non la amerà mai molto, e incontrando un emozionato Conte gli dirà: «Jannacci la fa meglio di te, e poi che sarebbe ‘sta storia del mio triste come una salita, pensa al tuo di naso!». Proprio la canzone BARTALI è spesso, nelle serate della BANDA A VAPORE, la canzone di apertura, il manifesto programmatico, il primo binario su cui si dipana la ricerca musicale della band. Non il Bartali triste e affaticato sui pedali, però, bensì il Bartali evento popolare, reso schioppettate dalle citazioni e dalle digressioni musicali sul palco che ricreano quel clima di chiasso e di festa della gente comune che andava a vederlo correre sulle strade del Giro d’Italia, e che in quel momento di festa collettiva e spontanea ritrovava una dimensione sociale autentica e vitale. La Banda a Vapore  affrontò con convinta esuberanza la tappa su Paolo Conte che non poteva che essere appunto la sua BARTALI. Conte non solo proviene da una formazione jazzistica, nella quale ha praticato quasi esclusivamente forme strumentali, ma ha anche trascorso una buona parte della sua prima carriera di autore dedicandosi a fornire musiche per opere collettive, per solo poi ritrovarsi a scrivere abitualmente i propri testi, spinto dalla necessità di una migliore corrispondenza con ciò che le sue musiche erano in grado di comunicare. In seguito continuò ad esplorare la composizione puramente strumentale con partiture per il cinema o per produzioni teatrali, riutilizzando, tagliando e rielaborando i vari motivi a seconda delle necessità dei differenti contesti e corredandoli - o privandoli - liberamente di testi. Di fatto questa centralità della musica è in qualche misura evidente nel fatto che i testi stessi sono impregnati di qualità fortemente musicali. Dallo "za-za-ra-zzaz" di Bartali (1979) al "bababibedadibamba" di Danson Metropoli (1995) o quel "du-du-du-du" della famosa Via con me (1981), tutti ben riconoscono le sue caratteristiche mini-escursioni nello skat.

Dall’eccezionale albun CANZONI A MANOVELLA, la BANDA A VAPORE ha inserito due brani nel suo repertorio: MARAJA e CON UNA ROSA. Perché? Ma perché è ritenuto una vera e propria pietra miliare che ha orientato tutta la riflessione artistica della BANDA A VAPORE, non senza la tentazione di trasformare la Banda a Vapore in una cover-band caposseliana. Quando si è trattato di decidere quali canzoni assumere nel proprio repertorio, qualcuno ha proposto “semplicemente tutte”. Ecco la magia di questo long playing: Polke, marcette, palombari e maraja’ si inseguono in una sorta di teatro della strada, dove, tra un giro di valzer e un sogno, si viaggia tra Lubecca, Varsavia e Salonicco. Per dirla con le stesse parole di Vinicio: "Le canzoni a manovella che noi abbiamo provveduto ad inventare sono canzoni immaginarie. Per rappresentarle occorre che, dietro al sipario a soffietto ascensionale si sia provveduta la strumentazione necessaria: grancasse sinfoniche, piani chiodati e a rullo, trombe a grammofono, chitarre, onde martinot, ululatori e stropicciatori a valvola, orchestrioni, corni da caccia, violini a tromba, turbanti, cilindri, sollevatori bulgari e aerostatici.  E' un disco questo, di cose che vengono dal profondo. Che affiorano a galla in scafandro e cilindro. E' fabbricato con mezzi espressivi più leggeri dell'aria, tecnica di cui siamo sostenitori. Per realizzarlo ci siamo andati a trapiantare in uno studio di registrazione, come pinguini allo zoo. Non senza portare con noi mappe dettagliate e diverse parure di divise, che sempre ne subiamo l'affascinazione, e completi da banda e da riposo. Ci si è ingozzati di emozione, e di suggestione, e di musiche, in una specie di abbuffata secolare e questo è in definitiva il risultato. Credo non possa lasciare in pace nessuno. Ci sono arie e canzoni degne dei vostri nonni, filastrocche per i vostri piccini, e nostalgie per tutti.”  Quanto al successo dell’album, alcuni dati. L’album viene pubblicato in ottobre 2000, il successo è clamoroso, oltre 70.000 copie vendute e numerosissimi riconoscimenti. L'album viene presentato al Premio Tenco in una splendida esibizione che vede Vinicio avvalersi degli strumenti giocattolo di un altro grande musicista, Pascal Comelade. Segue un lungo tour teatrale che registra l’esaurito ad ogni data. Altrettanto bene vanno i concerti estivi, tenuti su e giù in giro per l'Italia, che consolidano ulteriormente il seguito sempre crescente di Vinicio. MARAJA' è stato definito un divertissement esotico (“si scompiscia, si sganascia, si oscureggia il Maraja”) che trasforma le “Mille e una notte” in un film di Kusturica . Il video di "MARAJÀ", singolo estratto dall'album e girato con la regia di Ago Panini, ottenne a suo tempo una discreta rotazione sulle reti musicali. CON UNA ROSA è invece il brano con il quale Capossela si esibì nel controverso programma televisivo di Daniele Luttazzi "Satyricon". Una romantica dichiarazione d’amore a tempo di tango

Il brano si rifà ad un fatto di cronaca nera, riportato su una rivista americana specializzata in quelle che un tempo si chiamavano "hot news": un fatto reale che si adatta con facilità all'immaginario suscitato dalle "criminalsong" - ma arricchito da qualche accorgimento che rende grottesco il dramma riportato dal giornale.  Ecco quindi la comparsa di latte burro e marmellata, mille sigarette, nonché l'imbroglio in un gioco innocuo quale il tressette. "Mi ero riproposto di inserire ovunque una vena parodistica", ha spiegato il paroliere Leo Chiosso, "per cercare di rompere con gli schemi della canzone italiana di allora, stanca di barche che tornavano da sole, di amori sdolcinati e di minatori dal cuore puro. Volevo scrivere pezzi che fossero veri e propri sketch; nei quali, alla descrizione della situazione iniziale, seguisse il ribaltone finale, un colpo di scena fragoroso e dirompente.  Per renderlo ancora più credibile e originale ci sforzavamo di inserire nell'epilogo, in più di un'occasione, un'ulteriore trovata assolutamente inaspettata, quale poteva essere un fischio, uno sparo, una risata travolgente, un colpo di tosse o la sirena della polizia". Dal punto di vista musicale, è evidente che nel 1958 Fred e gli Asternovas non hanno più alcun timore nel riversare sul pubblico una carica di swing trascinante (pochi mesi prima, anche grazie alle "spallate" date da Buscaglione e Carosone alla concezione tradizionale di musica italiana, Modugno col suo 'Volare' ha trionfato a Sanremo).  'Eri piccola' parte con una rullata di batteria che attacca un ritmo travolgente da "be-bopper", sul quale entrano basso e pianoforte come base ritmica, e poi tromba e sax che cominciano a inseguirsi.  Quindi Fred attacca, parlando, la prima strofa, che si conclude con il celeberrimo, semplicissimo ritornello; in ogni intervallo tra le ripetizioni di "piccola", i fiati sillabano su due note la stessa parola.  Il brano diviene il marchio di fabbrica di Buscaglione, anche grazie alle sempre maggiore abilità di istrione del cantante, che per indicare le dimensioni della sua assassina, li riassume in pochi centimetri tra indice e pollice.  Mezza Italia si ritrova a canticchiare il ritornello imitando il suo gesto. Non a caso, quando lo storico creativo pubblicitario Luigi Malerba è chiamato ad escogitare uno spot per la Pasticca del Re Sole, convince Fred a parodiare il suo cavallo di battaglia inserendo tra indice e pollice la citata caramella.  Il sapore cinematografico di 'Eri piccola' è accresciuto da una struttura narrativa che riprende quella di un classico del cinema, 'Viale del Tramonto' di Billy Wilder, uscito nel 1950. Il protagonista di tale 'noir', Joe Gillis (interpretato da William Holden) racconta la sua storia quando invece avrebbe dovuto tacere, essendo morto.  Allo stesso modo, Fred torna per un attimo dall'aldilà per raccontare al pubblico la storia di un amore fatale. Pochi i momenti cantati; in tutto meno di dieci frasi; il resto è 'parlato', durante il quale il cantante gioca col ritmo nella filastrocca di eventi che prelude al finale, quando subentra una pistola. "Nel disco avevamo usato una pistoletta da bambini", racconta Dino Arrigotti, pianista degli Asternovas. "Ma una sera mi porta un affare enorme, sempre a salve, ma con proiettili enormi. Solo che, forse perché suonavamo al chiuso, in un teatro, con tante signore ingioiellate…Quando ho sparato si è staccato un rosone enorme, sarà stato 60-70 chili. E' caduto a dieci centimetri da un tavolo, distruggendo un vaso di fiori".  "Ma Fred, non pensi che le tue canzoni… insomma, tutta questa violenza… 'Spara!”… Non pensi di turbare i sonni di tanti bambini?… 'Spara…! La coscienza non ti dice niente?” e Fred Buscaglione rispose: "La coscienza la sento. Ma è due ottave più su". (da una puntata de "Il Musichiere" di Mario Riva)

Paolo Villaggio riferisce  un aneddoto su Maramao. “Ricordo che i miei genitori uscivano senza cenare, andavano e ballavano e ballavano e ballavano. Una notte verso le 10 io e mio fratello siamo andati a spiarli nella balera dove andavano. Ricordo mio padre e mia madre che ballavano stretti. Vestiti di bianco, con la faccia contro la faccia - come erano belli... Stavano ballando 'Vieni, c'è una strada nel bosco…' Mia madre fa: dobbiamo andare - lui risponde 'Non ancora! Voglio ballare MARAMAO !” Ma questa canzone apparentemente frivola ha una storia incredibile. Pochissimi sanno che 'Maramao perché sei morto' entra nella storia di tre secoli differenti. Andando a ritroso, partiamo (caso 1) dal 1939, anno della morte di Costanzo Ciano, livornese, presidente della Camera dei Fasci e padre di Gian Galeazzo, ministro degli esteri e genero di Mussolini. Poche settimane dopo la sua dipartita, venne pubblicata la canzone: un allegro foxtrot cantato da Maria Jottini con lo swingante sostegno del Trio Lescano, firmato da Mario Panzeri e Mario Consiglio (quest'ultimo, spietato esecutore di un altro simpatico animaletto celebrato dalla Banda a Vapore: il 'Pinguino innamorato' suicidatosi in un pezzo firmato con Rastelli e Casiroli).  Il "caso" scoppiò quando a Livorno iniziarono i lavori per edificare un monumento a Ciano: nottetempo, alcuni studenti scrissero sul basamento i versi della canzone. Il capo della censura, Criscuolo, convocò immediatamente Panzeri: le cosiddette "canzoni della fronda", sospette di insinuare l'antifascismo, erano da anni una spina nel fianco di un regime che conosceva bene il valore della propaganda e digeriva a fatica che si ridesse di un certo "Crapa pelada" (Gorni Kramer, 1936).  Per fortuna il compositore riuscì a dimostrare che la canzone era stata scritta prima della morte di Ciano. Il fatto è che Panzeri non aveva ripescato una tiritera del tutto innocua. La triste vicenda del gatto Maramao veniva narrata da secoli, e aveva già causato qualche problema, ad esempio (caso 2) "La notte del 10 febbraio 1831 un povero storpio arrancava per le vie di Roma cantando: Maramao, perché sei morto? Pane e vin non ti mancava, l'insalata avevi all'orto… Subito venne arrestato, sotto l'imputazione di alludere al recente funerale del papa. Ma perché doveva alludere al papa? Quale riferimento poteva esserci fra l'insalata all'orto e i giardini vaticani? Queste domande, prima di noi, se le fece Gioacchino Belli, in uno dei sonetti rimasti inediti sino a pochi anni fa: “Sta in priggione: e perché? perché cantava/ier notte: "Maramao, perché sei morto?"/ebbè? si è morto er papa? e che c'entrava/de dì che cojonassi er su trasporto?/e che! tieneva l'insalata all'orto/er Santo-padre?" Se varie sono le ipotesi per individuare Maramao, suggestiva è quella che il morto non sia un gatto, ma lo spirito del Carnevale: in alcune località, con la Quaresima gli veniva fatto il funerale con tanto di bara e corteo.  Ma forse ancora più suggestiva è l'ipotesi che sovrappone la frase "Maramao perché sei morto" al celebre, Cinquecentesco "Maramaldo, tu uccidi un uomo morto!" (e siamo al caso 3, in pieno rinascimento!).  Fabrizio Maramaldo, condottiero napoletano, era schierato con i Medici contro l'esercito della Repubblica Fiorentina. Nel 1530, in occasione della battaglia di Gavinana, trafisse a morte il capitano avversario suo prigioniero, ferito e inerme:  Francesco Ferrucci. Motivo di tanta ferocia (e causa del sinonimo di vigliaccheria che accompagna ancor oggi il termine "maramaldo") era un precedente scontro a Volterra, durante il quale, oltre a uccidergli un araldo, Ferrucci prese a irridere il rivale dalle mura della città, storpiando il suo nome in "maramao" e facendo penzolare dei gatti dalle finestre, in modo che miagolassero…(il "miao miao" è per questo esaltato in scena dalla Banda a Vapore).  Un'ulteriore versione della storia vuole che una volta liberatosi del nemico, Maramaldo sia tornato a Napoli a gozzovigliare e sia stato colto da morte improvvisa, suscitando di conseguenza il commento: "Avevi tutto, donne, cibo…Maramaldo, perché sei morto?"  Una storia così era troppo saporita e con ghiottoneria la BANDA A VAPORE l’ha fatta sua, in una ironica versione ispirata da un concerto dal vivo di Nicola Arigliano e che ne esalta lo spirito swing.

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la Banda a Vapore

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