la banda a vapore
musica italiana swing e d’autore
in concerto
La Banda a Vapore presenta gli autori della musica leggera italiana "fermandosi in tutte le stazioni". Per questa ragione gli spettacoli iniziano con la partenza di un treno. Banda a Vapore è l'immaginaria locomotiva, con il suo numeroso gruppo di strumenti a fiato. Il pubblico viene coinvolto come passeggero, in un viaggio sui binari della canzone italiana d'autore che approda a orizzonti swing e jazz sopra binari di assoluta originalità.
Banda a Vapore nasce nel 2003 su un progetto di Alberto Rossi. Raccoglie intorno al suo progetto artistico un agguerrito plotone di musicisti: MASSIMO DOLFI (cantante, voce solista), pirotecnico protagonista della scena, sapientemente coadiuvato da CLAUDIO BECHI (chitarra) e da SIMONE BURALLI (tastiere). Le fondamenta musicali sono affidate a SIMONE NAVIRAGNI (basso elettrico) e a GIANLUCA DI STASI (batteria, percussioni). Al motore a vapore vero e proprio GINO LA MONTAGNA (tromba) e FILIPPO BRILLI (sax), creano il gruppo windband con il loro virtuosismo tecnico mentre ALBERTO ROSSI gioca con ogni sorta di strumento a fiato (clarinetto e sax).
Nel luglio 2008 sono vincitori di selezione festival internazionale del Mediterraneo “7Sois 7Luas” (www.7sois7luas.com). Partecipano alla edizione 2009 concerti area mediterranea del Festival (Cordoba 11-12 Settembre).
Da oltre due lustri questa brillante formazione è attiva in Toscana regalando serate di indimenticabili emozioni swing e pop.
Sentire La Banda a Vapore suonare è come vedere un felino musicale muoversi in libertà.
Scruta, guizza, caccia… la Banda a Vapore è la musica italiana che si muove nel suo ambiente naturale. Musica viva, della quale si percepisce il calore, si sente il ruggito, si avverte l’odore della carne e del sangue. Non ci sono dischetti, né basi, né effetti speciali, non c'è niente di prefabbricato, o peggio di imbalsamato, la Banda a Vapore celebra la Canzone Italiana , regalando emozioni, sentimenti, memorie, rigorosamente live.
Ballate, tarantelle, spaghetti & jazz: la Banda a Vapore vuole raccogliere il brivido swing che attraversa discretamente la canzone italiana dagli anni '50 (Carosone, Buscaglione) fino ai tempi nostri (Conte, Capossela). Nel suo percorso tocca i più grandi nomi della canzone d'autore d’italia (da Jannacci a Caputo, da De Gregori a De Andrè, da Celentano a Concato).
Banda a Vapore ha anche proprie canzoni originali (è possibile ascoltare il brano singolo MAPPAMONDO su YOU TUBE )
La Banda a Vapore si è sciolta nel giugno 2024

Artists
GIANLUCA
DI STASI
CLASSE: 1963
SEGNO ZODIACALE: NATO SOTTO IL SEGNO DEL CANCRO
OROSCOPO THAILANDESE: NATO SOTTO IL SEGNO DEL CARBURATORE
IMPRONTA GENETICA: 90% CELTICO 2% CANTABRICO 8% ETRUSCO
Di Gianluca De Stasi si sa poco o nulla, è l’ultimo arrivato di un treno in partenza (dal binario 3, ferma in tutte le stazioni). La sua presenza ritmica è apparsa all’improvviso, non si sa da quali distanze siderali, come una forma musicale intelligente proveniente da altri pianeti (forse dal rock o dal pop o dall’avanguardie seriali). Durante una fugace apparizione si è rapito l’intera banda usandola come cavia per i suoi esperimenti, quindi praticamente è un UFO: Unidentified Fluttering Object. Tutti a chiederci: chi è il vostro batterista? E noi a rispondere “boh, e chi lo conosce quello?” Fu scovato per caso da uno dei saxofonisti in una cover band dei Pink Floyd.
Eseguiva mostri sacri come The Wall, Money, Wish you were here. Il resto fu semplice: il saxofonista gli spiegò quanto era tagliato per lo swing e se lo portò con sé. Al provino per l’assunzione eseguì una memorabile versione di Rosamunda in 5/4, e anche gli altri non ebbero più dubbi: poteva essere solo lui l’anima ritmica di questa band! E poi finalmente un batterista che leggeva lo spartito! I ragazzi ci rimasero molto male quando alle prove successive si accorsero che sullo spartito invece dei pentagrammi c’era il numero di maggio di PlayBoy, sfogliato con doviziosa cura (alla fine di ogni brano gira pagina e cambia playgirl).
Si è integrato nella band con la naturalezza di un orso polare nell’antartico, e da allora è una delle colonne (a vapore) di questa formazione, anzi un iceberg: dotato di un virtuosismo tecnico sobrio, elegante, eppure magnificamente presente, egli è qualità sommersa che appare solo in minima parte, montagna navigante per tutte le rotte musicali, scoglio sicuro contro cui far (vaporistico) naufragio. Questa è la verità di Gianluca De Stasi! Tutto il resto sono solo chiacchere, dicerie, ipotesi.
Si dice che sia di Brooklin ma sta dalle parti di Firenze. Si dice che in realtà sia un meccanico e che tenga il tempo dando il gas sull’accelleratore. Si dice che possa essere di religione induista, perché quando tocca la batteria sembra che abbia quattro braccia come la dea Kalì. Si suppone che sia maschio perché non porta la gonnella. Si ipotizza un suo coinvolgimento nella presa di Maracaibo perché si muove nella notte musicale con l’eleganza di un Corsaro Nero. Tra le tante ipotesi in campo, c’è anche quella che possa essere un batterista. Ma non ci sono elementi che lo confermino.

CLAUDIO
BECHI
CLASSE: 1970
SEGNO ZODIACALE: NATO SOTTO IL SEGNO DELLO SCORPIONE
OROSCOPO THAILANDESE: NATO SOTTO IL SEGNO DELLA SCIMITARRA
IMPRONTA GENETICA: 20% TURKMENO 20% NURAGICO 60% CELTICO
Più che un essere umano nel senso tecnico della parola, è un chitarrista. Che nell’universo di chi scrive è qualcosa di più, di non solo e di oltre. Evoluzione della specie, homo liuticus per eccellenza, Re Mida della ritmica, quello che tocca, quando sono corde, si trasforma in metallo prezioso. E più le dette vicende sono tese, meglio le saprà far vibrare. Non c’è tensione che non sappia armonizzare, dissonanza che non sappia accordare, un vero uomo squadra (va beh, diciamo uomo-righello), letteralmente ossessionato che anche una sola corda possa uscire dall’armonia comune. È capace di ri-accordare la chitarra anche 40 volte durante un concerto, fino a tre volte all’interno d uno stesso brano, una vera ossessione che fa di lui un punto di riferimento costante (pausa birra, c’è Claudio che accorda).
Elemento di perseverante eleganza anche laddove il perseverare è diabolico, fine e mai appagato esteta, se un giorno il cielo fosse in una stanza che almeno si intoni alle pareti, e se il diavolo veste Prada suggeriamo almeno uno spezzato con sfumature nero-fumè.
È il teorico della perfettibilità insoddisfabile: fosse per lui, starebbero ancora provando il primo pezzo (da alcuni lustri), sì però il tiro non viene proprio bene, e questo rivolto insomma non mi convince, riproviamo, può venire meglio. Vent’anni fa compose un brano ma si fermò al primo accordo, che ancora sta perfezionando, un sol maggiore al quale si sono molto affezionati tutti e che ormai è la mascotte del gruppo col nome di Tommasino. È stato depositato alla Siae col titolo Tommasino in Sol Maggiore.
Il suo virtuosismo funambolico eccelle peraltro nel flamenco, introducendo nel sound della Banda a Vapore contaminazioni iberiche e mozarabiche di grande efficacia. Peccato che non ci sia nessun flamenco nel repertorio della banda e che non si capisca perché si ostini a suonarlo. Ha provato a convincere il batterista a suonare le nacchere, ma con scarso successo. Nella sua carriera si annoverano anche notevoli esperienze come cantante. Mirabili sono le sue interpretazioni one-man-band del maraschiano Wanda: “Te la intoppai con una minigonna”, eseguito in tour dal 2002 al 2008 mietendo ovunque grandi consensi di critica e di pubblico (di critiche soprattutto), che lo hanno indotto nel tempo a specializzarsi in questo popolare repertorio (le minigonne, non Marasco!).



GINO
LA MONTAGNA
CLASSE: 1975
SEGNO ZODIACALE: NATO SOTTO IL SEGNO DELLA VERGINE
OROSCOPO THAILANDESE: NATO SOTTO IL SEGNO DELLO STANTUFFO
IMPRONTA GENETICA: 25% VISIGOTO 60% OSCO-UMBRO 15% LAPPONE
È l’uomo “zen” del gruppo. Nessun contrattempo terrestre può indurgli ansia. Cascasse l’Himalaya con tutto il Nirvana, la cosa non lo tange. Si chiama veramente LA MONTAGNA, e già questo dà l’idea della sua grandezza. La mamma sua gli cantava come ninna nanna “Tu ca nun chjanne”: comm'è bello 'a Ginu stanotte, bello accussí, nun ll'aggio visto maje... Perché appunto col nome di Gino i genitori, per sdrammatizzare, lo battezzarono. Avrebbero potuto chiamarlo Pomponio, Onofrio, Eustachio, invece gli dettero nome semplicemente Gino. Un nome, un progetto di umiltà. Perché se Maometto non va a LA MONTAGNA son guai ma se non va a Gino, pazienza, chi vuoi che se ne accorga. Un progetto di umiltà che, divenuto adulto, ha sempre rispettato, nei modi gentili e dismessi, nella sobrietà dell’abbigliamento, nella statura.
Poi l’umile e bello Gino conobbe il suo strumento, la sua vocazione, la sua missione: la tromba! Ecco il suo destino: trombare con quanta più energia gli fosse data per l’universo mondo, facendo scattare il pistone ad ogni degna occasione. E si dette da fare, divenendo un virtuoso nel suo campo. Con la tromba ritrovò la sua grandezza.
Un metro e sessanta per poco più di 60 kg, questo che a prima vista poteva sembrare un piccolo uomo una volta in si bemolle si rivelò un grande, bruciando tutte le tappe di una sfolgorante carriera: seconda cornetta nella banda di Larciano, poi prima tromba nella filarmonica G.Verdi, infine elettrotrombettiere capo nel reparto guastatori meccanici. Fondò il Meccanismo a Pistoni, celebre quartetto metal(meccanico) degli anni 90 che ripara macchinari industriali di mezza Italia, e li ripara intonandoli rigorosamente in Sib.
Nel novembre 2002 approda infine alla presente formazione a vapore, in qualità di socio fondatore. La sua profonda conoscenza della musica liederistica tedesca fu determinate per orientare la scelta swing di quella che all’origine voleva essere una band di musica celtica. Anzi, è proprio lui, a trovare il nome all’ “idea”, che da allora si chiamerà appunto Banda a Vapore. Il resto è storia nota. E che nota! Quella che squilla imperiosa eppur dolcissima all’inizio del suo “a solo” più famoso (quando cioè la band a metà concerto gli richiede di attaccare nella solitudine più totale quel “Gelsomina” di felliniana memoria), laddove l’elettro-trobettiere si muta in apprendista stregone, capace perfino di sospendere il tempo e di inchiodarne l’inesorabile trascorrere generando un attimo fermo, sospeso, la nota d’inizio, il presente che non tramonta, l’universo appeso a quella minima come un malfattore al capestro, liberando così le emozioni dalla forza di gravità che le tratteneva nell’anima: allora tutta la città religiosamente si commuove come davanti alle lacrime della Madonna dell’Umiltà. Oppure quella (la nota, un'altra) che cammina roca come un Armstrong col raffreddore tra le improvvisazioni di “Perduto amor”, e cammina, cammina, cammina, alla fine arriva ad una radura nel bosco e vede la casina di marzapane e il resto lo sapete come va a finire. Celebri anche le sue immancabili stecche, così impertinenti e solide da poterci giocare, alla goriziana a fine concerto. Insomma, mai vie di mezzo: o bene bene, o male male, autentico valore aleatorio aggiunto che garantisce l’imprevedibilità delle pubbliche esecuzioni. D’altronde, sostiene la sua tromba zen, per suonare live se poi si deve suonare sempre uguale, tanto valeva mettere il disco.

NOME: SIMONE
COGNOME: NAVIRAGNI
CLASSE: 1971
SEGNO ZODIACALE: NATO SOTTO IL SEGNO DEI GEMELLI
OROSCOPO THAILANDESE: NATO SOTTO IL SEGNO DEL SIFONE
IMPRONTA GENETICA: 92% LONGOBARDO 8% BRETONE
Uomo di poche parole, anzi di punte, non si hanno praticamente notizie della sua vita privata. E nemmeno della sua formazione musicale, da quando l'insegnante che lo ha introdotto al mondo del basso elettrico ha diffidato legalmente chiunque dal citare il suo nome.
Di lui si dice che sia stato sposato, che sia stato single, che sia stato prete, e anche che sia stato un agente del KGB, ma nessuna delle voci ha mai trovato conferma. In effetti, brandisce il basso elettrico come fosse un kalashnikov, ma questo di per sé non prova niente. Insomma, fosse per lui il gossip della banda fallirebbe.
Ma quando ha il basso in mano, le corde parlano per lui. Profeta della quarta rovesciata, le sue linee di basso fanno storia, sono così audaci e innovative da oscillare fra l'avanguardia della sperimentazione post cubista da un lato e la serialità primitiva eso-jazzistica dall'altro, tra la più sofisticata enarmonia e l'improvvisazione a casaccio. Con lui la tonalità di un brano esplora sempre qualcosa oltre i suoi confini, esprimendo luoghi musicali sempre nuovi, raggiungendo orizzonti mai prima visti, anzi del tutto inauditi. È allora che i suoi compagni lo guardano e lui magari si accorge di aver sbagliato lo spartito. Perché va bene, ragazzi, cercare di andare a tempo, ma almeno suoniamo tutti lo stesso pezzo: questa è la sua filosofia musicale.
Già da tempo indicato come principe ereditario, cinse la corona di bassista a vapore nel 2008 a seguito dell'abdicazione del suo amico co-fondatore e poi co-affondatore della banda, Roby (Boccardo). Vinse selezioni durissime (si erano presentati all'audizione preliminare ben uno concorrenti), ma i maligni mormorano che era raccomandato. Da allora non si è perso un concerto o una prova. La sua assidua e costante presenza silenziosa e la leggerezza del suo tocco lo ha reso un arredo irrinunciabile della Banda a Vapore. Praticamente una abat-jour.
Non scevro da avventure compositive (sono germogliati da idee sue brani come Maschio Latino), bazzica contempora-neamente a Banda a Vapore i più diversi panorami musicali e bische armoniche, andando dal jazz, fino al poetry-progressive, e c’è chi giura di averlo visto perfino alle prese con il soul rithm and blues o con il disco-revival. Ma in quanti gruppi suona? Proprio vero che non c’ha un cazzo da fare!


MASSIMO
DOLFI
CLASSE: 1973
SEGNO ZODIACALE: NATO SOTTO IL SEGNO DELL’ACQUARIO
OROSCOPO THAILANDESE: NATO SOTTO IL SEGNO DELL’IMBUTO MINORE
IMPRONTA GENETICA: 94% VISIGOTO 2% SAKASCITA 4% ACHEO
Massimo è il classico ragioniere, si insomma è uno che ragiona (cioè, a volte voglio dire) con una tipica ragionieristica passione per gli istinti irrazionali e per l’apicultura (le sue api producono un ottimo miele!).
Non coltiva solo miele, va anche spesso all’Opera, ma non a vederla, a cantarla, perché è pure capace di gorgheggiare lirica. Tutte cose che, naturalmente, nulla c’azzeccano fra loro ma che descrivono bene il caos della sua filosofia professionale, artistica, di vita.
Nel caleidoscopio delle sue esperienze ci rientrano anche la tentata conquista di tutti gli ottomila, la ricerca del Santo Graal e la liberazione della Patagonia dell’estremo Sud che Garibaldi, innamorato, si era dimenticato di riscattare dai tiranni e ai cui abitanti, prevalentemente pinguini, non potrebbe fregare di meno, né di Garibaldi, ne della lirica, né delle api che peraltro quando pungono fanno anche male.
In ragione di tanta inaspettata ostilità, il nostro cantante non ha ancora fatto la pace con i pinguini, e l’unico che interpreta sul palco ben volentieri lo sotterra (con un click sotto il pack che ha fatto crack) e ha problemi di vicinato pure con le arnie liriche e le operaie all’opera. Non che non si dia un sacco d’arie (musicali), è che non sempre gli riescono.
Neanche le canzonette, se è per quello, motivo per cui è finito alla Banda a Vapore. A dirla tutta, gli riuscirebbero, se solo se le ricordasse, ma (secondo il suo stile di vita) fa sempre un casino tremendo. È capacissimo di metetre Dante nelle canzoni di Caputo e di declamare Nietsche (rigorosamente in lingua originale) durante un pezzo di Celentano. Si distrae un attimo, e avviene il miracolo: Io mi chiamo Pasquale Cafiero sto con Rosalina tutti i giorni in bicicletta e sempre caro mi fu quest’ermo colle quanta strada nei miei sandali dies irae dies illa l’Italia s’è desta....
Questo stravolgimento creativo dei testi non è però un caso, ma un effetto voluto: cacciatore di corrispondenze oblique, esploratore delle relazioni inusitate fra i più distanti contesti, pioniere all’ostinata caccia dei parallelismi superiori fra frasi solo in apparenza estranee ma che (a suo dire) rispondono ad un unico profondo disegno semantico universale, disvelato dai palchi di banda a Vapore grazie alla interpretazione (anzi alla interpolazione) del suo genio, con un effetto inaspettato, sconvolgente, capace di insufflare la fecondità del dubbio nella più granitica certezza: “ma si può sapere cazzo canti?” Per fare capire al pubblico quale sia la canzone, lo obbligano a travestirsi nei panni del personaggio di brano in brano. Fa il leone allo zoo comunale, la bicicletta in Rosalina e la pompa della benzina rincarata nella Topolino amaranto. Ma pur essendo un uomo di pungente ironia (tutta colpa delle api), si è sempre rifiutato di cantare Il Triangolo no. Valli a capire questi ragionieri !


FILIPPO
BRILLI
CLASSE: 1978
SEGNO ZODIACALE: NATO SOTTO IL SEGNO DEL TORO
OROSCOPO THAILANDESE: NATO SOTTO IL SEGNO DELL’OPOSSUM
IMPRONTA GENETICA: 94% ETRUSCO 2% TARTARO 4% AZERO
Uomo swing dalla testa ai piedi, letteralmente: ha sempre ai piedi le sue famose jazz-shoes rigorosamente nere di bianco cuoio incollettate; e in testa non un cappello ma un cervello jazz. Di lui potremmo scrivere fiumi di parole, ma ci sommergerebbe con fiumi di note e non ne vale la pena, anzi la piena.
Dategli un saxofono e vi solleverà il mondo. Sempre che non ce l’affoghi dentro. Perché il saxofono, per lui, non ha segreti. Non li tiene, è un gran pettegolo (il suo saxofono).
Antropologicamente parlando è l’ultimo dei Moicani, una specie in via d’estinzione, homus musicus erectus, panda gigante del WWF musicale, insomma, una rarità biologica, armonica e melodica. Egli non parla: suona.
Quelli che l’hanno sentito fare entrambe le cose, dicono che sicuramente è meglio così. Suona anche quando parla. Si esprime a “riff-opinions”, discorsi di base che si rincorrono sempre gli stessi senza capo né coda. Allora gli dici “me la fai sentire” e lui, prendendo il suo sax, riesce finalmente a spiegarsi. Si narra che grazie al sax sia riuscito a dare indicazioni turistiche a un giapponese di passaggio che non capiva una parola di italiano, utilizzando semplici scale jazz, per poi salutarlo con una blue note. Perché egli non parla: suona. Eccome se suona. Tanto. Incessantemente. Con una frenesia improvvisativa paragonabile soltanto a quella alimentare di un branco di squali. Moto perpetuo che non si ferma mai, raptus melodico tropo-neumatico, delirio anacrusico, quando attacca un assolo si scatena il panico: e ora chi lo ferma più? Quando al cantante durante il concerto viene sete, aspetta il solo di sax, poi va a prendersi un caffè, esce a farsi un cicchino, si riposa una mezzoretta, a volte schiaccia anche un pisolino, quindi rientra e il pezzo ancora non è finito perché il sax sta ancora improvvisando con un inarrestabile turbinio di note, scale pirotecniche, evoluzioni melodiche. Gli altri musici agonizzano stremati in un lago di sudore, e lui che continua a macinare passaggi e fraseggi fresco come una rosa hai detto vienimi a cercare.
Riesce a improvvisare su tutto: sul maggiore, sul minore, sulle settime, sugli spaghetti all’amatriciana, sul lavoro, sull’abbigliamento, in amore, in chiesa, al supermercato, un intera esistenza votata all’improvvisazione ma con alle spalle solidissime basi tecniche, teoriche e armoniche, che rendono il suo virtuosismo non solo fuori dal comune, ma anche dalla provincia e dalla regione. Infatti va a suonare anche fuori della Toscana, ed è l’unico della band che ancora esercita (la professione musicale) come apprezzato turnista sui palchi di mezza Italia. Anche se professionalmente si è consacrato al saxofono, è un polistrumentista geniale. Costruisce da sé strumenti con materiali riciclati, bottiglie, imbuti, forassiti, o anche con tuberi e generi alimentari (patate, carote, melanzane). Le sue ocarine di carote, poi, una volta bollite e condite a olio e sale, sono squisite.

SIMONE
BURALLI
CLASSE: 5B
SEGNO ZODIACALE: SCONOSCIUTO
OROSCOPO THAILANDESE: SCONOSCIUTO
IMPRONTA GENETICA: 60% INDOEUROPEO 30% MARSUPIALE 10% PIGNONIDE
Pensate al Titanic. Pensate alla leggenda del pianista sull'oceano, al talento che non osava scender mai dalla nave. Ma non è lui. Poi pensate allo sfigato che suonava il pianoforte sulla Costa Concordia, sopravvissuto a Schettino, pensate ad una vita consacrata all'arte che per poco non finisce schiacciata in mezzo ai topi della sala macchine. Ma non è nemmeno lui. Lui sta nel mezzo ai due succitati e inabissati antipodi musicali, è il medio (alzato!) proporzionale della equazione da piano bar del naufragio, esistenziale e non. Lui è quello che in ogni caso, è rimasto, a terra. Dimenticato, ma vivo.
In lui pulsa una raffinatezza musicale che solo il mancato naufragio non ha ancora reso leggenda.
L'unica sala macchine alla quale infine approda sta nella locomotiva a vapore di questa banda, della quale diviene l'ingranaggio differenziale. Oh beh, una qualche differenza la fa: prima di lui nessuno leggeva Tolstoj.
Si definisce un semplice premitore di tasti, ma il suo tocco è magia, incanto, meraviglia. In effetti si sono meravigliati in molti su cosa ci faccia. Serviva una tastiera per lo sfondo sul desktop, ed eccolo qui. Magari non appare, ma lui invece vorrebbe apparire, e allora giù a dirgli di abbassare il volume, ma come dire ai muri!
Eppure, non è solo sottofondo, ma trama principale, ragione occulta di un sound poliedrico mimetizzato fra sax e gorgheggi, che magari non appare (chi ha tirato giù il gain?) ma c'è, eccome se c'è, ed è larma di adattamento in più data dall'evoluzione della specie musicale: è grazie alle sue notine che la band si gioca la probabilità di sopravvivenza tra gli habitat armonici più disparati e ostili.

ALBERTO
ROSSI
CLASSE: 1963
SEGNO ZODIACALE: NATO SOTTO IL SEGNO DEL LEONE
OROSCOPO THAILANDESE: NATO SOTTO IL SEGNO DEL SEMAFORO
IMPRONTA GENETICA: 30% VANDALO 30% GALLO 20% ALIENO 20% ORANGO
Clarinettista e saxofonista del gruppo, socio fondatore, nonostante che abbia fatto il conservatorio è dotato di un qualche talento musicale. Ma di scarso senso pratico. Magari sa fare una fuga a tre voci ma non sa fare l’orto e si sa che il brodo non viene bene con un controsoggetto alla dominate, ci vogliono carote e zucchine. Magari è in grado di comporre dodecafonia o di sviluppare un tropo medioevale o al limite anche di suonare il campanello, ma non chiedetegli di cambiare una lampadina, resta al buio, e si fa male, perché non vede una mazza, cerca la candela, inciampa in un cluster, cade, modula in minore, rotola per le scale, cadenza plagale, insomma una volta lo hanno ritrovato la mattina dopo con tre denti di meno, la lampadina fulminata e un tropo infilato nella sequenza del campanello di settima minore.
È lo scriba della band. Scrive di tutto. Canzoni e marcette, graffiti e romanzi, diari e messali, financo cartoline. Vincitore del premio “troglodita dell’anno” nel 2005, è stato l’ultimo italiano rimasto senza cellulare: ancora oggi non lo sa usare! Non sa bene che siano facebook, hi-pod, bluetooth e tecnologie varie. Nemmeno freno e frizione, se è per quello: guida come un cane. Grazie alle sopracitate e indiscusse competenze comunicative e manageriali, è stato nominato boss organizzativo del gruppo, ma si è scoperto solo da poco che si era trattato di un sabotaggio della concorrenza.
Il suo modo di organizzare, caotico e inconcludente, ha permesso a tutti gli altri componenti del gruppo di sviluppare creatività impensabili, grandi spessori artistici e neanche un quattrino. Otto anni or sono stabilirono di registrare una demo, e lui organizzò le registrazioni. Ad oggi non si sono viste né demo né registrazioni, in compenso furono composti 15 nuovi brani, scritti 3 libri e dipinti 2 affreschi. Tre anni fa organizzò una tournè negli Usa. Non riuscirono nemmeno a prendere l’aereo a Peretola e finirono per suonare in quel di Dicomano a una sagra rostereccia. Insomma, un disastro, ma ci fu una fettunta da favola che te li do io gli hot dog, con grande soddisfazione generale.
Si è sempre chiesto perché suo padre gli abbia lasciato studiare la musica invece che insegnato a zappare, condannandolo ad una genialità disadatta e senza brodi. Ma ormai è tardi. Catapultato per uno scherzo temporale nella nostra era direttamente dall’età del bronzo, quello che sa fare sa fare. Che poi nemmeno è poco. Polistrumentista virtuoso ma distratto, è capace di suonare d’istinto anche un calzino, ma perché l’ha scambiato per un clarinetto. E non si capisce suona il calzino bene come un clarinetto o il clarinetto bene come un calzino. Nella sua carriera ha suonato anche imbuti, ossa di morto, pelli di mucca, pettini e barometri, con la stessa naturalezza del suo strumento d’orchestra: si sostiene che non vi sia poi una grande differenza, stesso suono, clarinetti mucche o imbuti che siano. Una leggenda metropolitana narra che con lo strumento in cantina ci munge il latte fresco e infiasca il vino. Rigorosamente in Si bemolle.


